Il 45°
Imperial Regio Reggimento di Fanteria
Arciduca Sigismondo (1814-1866):
I soldati veronesi nella bufera risorgimentale
La propaganda risorgimentale ha semplicisticamente dipinto le varie Guerre per l’Indipendenza come una lotta contro lo straniero: ma fu veramente così?
1 – 500mila italiani
combatterono nell’esercito imperiale austriaco DAL 1814 AL 1866 - Nella
Prima Guerra d’Indipendenza combatterono italiani piemontesi sabaudi contro
italiani del Lombardo-Veneto, arruolati nell’Imperial-Regio esercito (25.000 su
70.000, un soldato su tre di Radetzsky era italiano!). Interi Reggimenti erano
interamente costituiti di soli veronesi e rodigini, come ad esempio il 45° Imperial-Regio Reggimento Arciduca
Sigismondo d’Este (giacca bianca, pantaloni azzurri con banda bianca,
mostrine, colletto, spalline e paramani rossi, in testa il caratteristico tschako,).
Ma non solo: il 13° Reggimento
Wimpfen era reclutato a Padova e Venezia; il 16° Reggimento Conte Zannini a
Vicenza e Treviso; il 26° Reggimento Ferdinando d’Este a Udine; il 38°
Reggimento Haugwitz a Brescia, Mantova e
Verona; il 23° Reggimento Ceccopieri (Cremona e altre città della Lombardia); il
43° Reggimento Geppert a Como; il 44° Reggimento Arciduca Alberto a Milano.
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– Dopo essere stato all’estero per molti anni, il 45° Imperial-Regio Reggimento Arciduca Sigismondo d’Este fece
ritorno nel 1842 in Veneto. Il reparto si distinse combattendo contro i
nazionalisti e i liberal-massoni lombardi durante le cinque giornate di Milano
(18-22 marzo 1848) cu strappò Porta Ludovica e Porta Tosa; contro i piemontesi
di Carlo Alberto, nella battaglia di Santa Lucia del 6 maggio 1848 arrestando
l’offensiva sabauda contro il Quadrilatero
benché di gran lunghi inferiori di numero rispetto al nemico (due soli
battaglioni contro cionque brigate nemiche) e nonostante le cariche della
cavalleria sabauda e un ininterrotto cannoneggiamento; alla battaglia era presente
l’Imperatore Francesco Giuseppe che decorò con medaglie d’oro, d’argento ed
encomi, conferiti sul campo, quanti si erano battuti con maggior valore. ch’ebbe
il suo battesimo del fuco insieme proprio ai reparti veronsesi del 45° conquistò
cinque cannoni, e sopraffece una batteria da
2
- ma allora cosa fu il cosiddetto
Risorgimento? Una guerra civile fra italiani
veneti e lombardi che tra il 1814 e il
1866 furono arruolati nei reparti dell’Imperial- Regio esercito austriaco e parteciparono
– ma dalla parte opposta – a tutti o quasi gli episodi salienti del
Risorgimento: le Cinque giornate di Milano, le Dieci di Brescia, le battaglie
di Santa Lucia, Goito, Curtatone, Montanara, Novara, l’assedio di Vicenza,
quello di Venezia ecc. ecc.
Caratteristico copricapo della
Fanteria austriaca: lo Tschako. Sopra: Una ricostruzione del 45°
Imperial-Regio Reggimento Arciduca Sigismondo.
Nel 1841 la storia
reggimentale segnala una cerimonia particolarmente commovente. Vennero infatti consegnate solennemente ai tre
battaglioni in Campofiore a Verona, dopo la Santa Messa, le nuove bandiere.
Dopo la consegna, il Comandante del Reggimento, Conte Gyulai, elevò in lingua
italiana l’invocazione di rito: Iddio
conservi il nostro clementissimo Sovrano, l’Imperatore Ferdinando! A cui
fecero eco tre forti Evviva! Le tre
bandiere furono decorate con altrettanti nastri. Il primo con preziosi ricami
d’oro, opera della Arciduchessa Maria Luisa, Duchessa di Parma, portava il
motto latino: Si Deus pro nobis, quis
contra nos?[1] Il secondo di
colore azzurro, donato dalla Città di Verona, aveva la scritta: Fideliter e Constanter. Verona Militibus
civibus suis anno MDCCCXLI[2].
Il terzo fregio fu omaggio della città di Rovigo:
1. La battaglia di Novara e la caduta di
Venezia (1849)
Dopo la battaglia di Custoza del
giugno 1848, le truppe piemontesi iniziarono il ripiegamento verso
Tra Novara, Vercelli e Vigevano si
andava così concentrando il grosso dell’armata sarda forte di circa 100.000
uomini. I due battaglioni del 45° (ricordiamo che il II rimase
ininterrottamente per tutto il corso della guerra in Dalmazia a difesa dei
confini meridionali) furono uniti alla brigata Maurer del III corpo d’armata e,
raggiunta Pavia, si attestarono sul Ticino.
La breve campagna militare, dopo i
fatti d’arme di Mortara, Gambolo e Borgo San Siro, si concluse nella grande
battaglia di Novara, dove si distinse in particolare il I battaglione al
comando del Capitano Federico Ferrari, che sul fianco destro continuò
combattendo la marcia verso la città, conquistò cinque cannoni, e sopraffece
una batteria da
Terminate le ostilità con l’esilio
inflitto al sovrano subalpino, il 28 marzo 1849 il 45° marciò su Milano e, di
lì, a Brescia dove furono decorati i soldati più valorosi della breve campagna.
Tra gli altri furono anche ricordati i 35 soldati che perirono a Brescia,
durante le famigerate Dieci Giornate[4].
Rimaneva ancora Venezia.
Dopo un breve riposo a Verona i due
battaglioni presero la strada verso est e attraverso Vicenza e Padova, giunsero
a Mestre, dove si unirono alla brigata Macchio, che assediava la città
adriatica. I fanti del Sigismondo
parteciparono così all’attacco del Forte Marghera, lasciando sul terreno un
caduto e tre feriti. Dopo la capitolazione dei rivoluzionari di Venezia ad
agosto, il 45° fu trasferito a Brescia.
Medaglia d’oro al valore:
caporalmaggiore
Giuseppe Cameran
Medaglia d’argento di 1° classe:
caporalmaggiore
Zaparoli
caporalmaggiore Bianchi
tamburino Visentini
soldato Saccon
soldato Rossi
soldato Nibale
soldato Veronesi
soldato Rossetto
Medaglia d’argento di 2° classe:
sottotenente Camillo
Soranzo
sottotenente Carlo
Formenti
maresciallo Zini
caporalmaggiore Pimazzoni
caporalmaggiore De Battisti
caporalmaggiore Belucco
caporalmaggiore Guarnieri
caporale Galghero
caporale Boldrini
caporale Toso
caporale Cacianiga
caporale Mantovani
caporale Massagrande
soldato scelto Sgarbi
soldato scelto
Manfrimati
soldato Giacomuzzi
soldato Sacheto
soldato Grottolo
soldato Pasetto
soldato Zangrande
soldato Gasperini
soldato Panigalli
soldato Marchiori
soldato Piccoli
soldato Steffanini
soldato Dallocco
soldato Favalli
soldato Castellini
soldato Carminati
soldato Ferrari
soldato Attrappelli
soldato Vincenzi
soldato Argenti
soldato Bianchi
soldato Pasqualin
soldato Zanca
soldato Riziolli
soldato Dainese.
2. Tregua armata dal 1850 al 1858
Negli anni 1850 e 1851 troviamo i soldati
veronesi in varie guarnigioni dell’Impero tra Dalmazia e Ungheria. Nel 1853 il
neo costituito IV battaglione ricevette in dono dall’Imperatrice Elisabetta la
bandiera col nastro rosso, che recava la scritta in italiano: Fedeltà e valore vi unisca al sacro pegno.
La consegna avvenne a Verona e la Congregazione Municipale offrì ai soldati 500
lire austriache[5].
Nel 1857 fu stabilito che, in caso di
ostilità, il 45° reggimento doveva consistere di una forza complessiva di 4
battaglioni, formati da 32 compagnie, per un totale di 6.886 uomini[6].
Nel 1858 morì a Milano l’anziano
Feldmaresciallo Radetsky.
Quell’anno, in cui cadeva il 10° anniversario
della battaglia di Santa Lucia, fu anche l’occasione per commemorare con la dedica
di un monumento i caduti del reggimento nella battaglia del 1848. Il 6 maggio,
anniversario dello scontro, venne ufficialmente inaugurato un cippo marmoreo
costruito a spese del Reggimento e con la manodopera dei soldati. Alla presenza
del Feldmaresciallo Gyulai, del Vescovo e delle autorità cittadine, venne
celebrata la Santa Messa dal cappellano del reparto, Don Antonio Mazzani. Tutta
la cerimonia si svolse in lingua italiana.
Il cippo (tuttora visibile nel Cimitero
di Santa Lucia) porta la seguente scritta:
L’Imperial
Regio Reggimento fanti Arciduca Sigismondo
Ai
suoi commilitoni
Qui
caduti
Nel
combattimento di Santa Lucia
Il
6 maggio 1848
Erigeva.
Pace
alle loro ceneri
Onore
alla loro gloriosa memoria
Colla
morte dei valorosi
Suggellarono
la loro fedeltà
Al
Sovrano e alla patria.
Inaugurato
con solennità il giorno 6 maggio 1858.[7]
In settembre il reggimento era a Vienna
ed ebbe l’onore di esser di guardia ai palazzi imperiali.
3. Magenta (1859)
Il 28 febbraio 1859 il 45° ebbe l’ordine
di mettersi sul piede di guerra. Le continue provocazioni del Regno di Sardegna
sui confini occidentali del Lombardo-Veneto, spingevano fatalmente l’Austria
verso la mobilitazione generale e la guerra. L’intesa tra Piemonte e Francia,
infatti, prevedeva che quest’ultima sarebbe intervenuta a fianco dei subalpini
solo nel caso in cui fosse stata l’Austria ad aprire per prima le ostilità.
L’alto comando decise di inviare in
Italia i battaglioni del Sigismondo, tanto
grande era la fiducia e la considerazione che a Vienna si aveva dei soldati
veneti. Il 31 aprile il 45° era acquartierato a Milano presso la caserma San Francesco. Il Reggimento fu
aggregato al II corpo d’armata comandato dal Feldmaresciallo Jelacic e
dispiegato tra Milano e Pavia. Il 2 maggio i reparti (raggiunti nel frattempo
anche dal battaglione Granatieri) attraversarono il Ticino in direzione
Guarlasco, Mede, Ottobiano, Nicovo, Sesia, giungendo nelle vicinanze di
Vercelli. Il 9 maggio ripiegò su Cilavegna. Il 18 era a San Giorgio, mentre il
30 sostava nei pressi di Palestro, pronto ad entrare nella mischia.
Dopo le battaglie di Palestro e
Montebello, l’armata si schierò sulla difensiva lungo la linea
Vercelli-Pavia-Piacenza. Il nemico occupò le due rive del Tanaro. Il 3 giugno
l’esercito imperiale si ritirò su Magenta, e il II battaglione ebbe l’ordine di
tenere Robecco sul Naviglio e Ponte Vecchio di Magenta. Il I battaglione invece
era schierato a difesa di due postazioni sul Naviglio Grande.
I francesi presero a metà mattina del 4
giugno il ponte in pietra sul Ticino, sloggiandone gli imperiali. Il II
battaglione, appostato dietro una massicciata della linea ferroviaria, fu
investito da due battaglioni di granatieri, resistendo a lungo, ma per impedire
che venisse isolato, fu poi fatto ripiegare su Carpenzago. Per proteggere la
ritirata, il Comando austriaco inviò allora il I battaglione a difenderne la
strada, permettendo così al II e al resto della brigata di ritirarsi
agevolmente sul paese, dove si appostò.
I francesi intanto si erano attestati in
alcuni punti al di là del corso d’acqua. Per questo il Maggiore Generale Kintzl
ordinò al I e II battaglione del 45° (ancora relativamente freschi) di avanzare
verso il nemico, coperti dal fuoco di batteria di due cannoni. L’assalto al
Ponte Vecchio fu eseguito dai veronesi con rapidità e le compagnie francesi
vennero ributtate indietro dagli italiani fin oltre il gruppo di case, dove
affluirono le riserve austriache. Nonostante i furiosi contrattacchi francesi e
il continuo fuoco di controbatteria la posizione rimaneva ancora nelle mani dei
soldati imperiali, sicché i francesi, comandati dal generale Picard, si videro
costretti a sloggiare completamente dal paese. Fatti affluire cospicui
rinforzi, con un successivo attacco, le truppe di Napoleone III riuscirono alla
fine a sloggiare da Ponte Vecchio gli imperiali, i quali però non furono inseguiti
ed ebbero modo di raggrupparsi con ordine in alcune case, sempre bersagliati
dai colpi nemici.
Gli austriaci allora tentano una seconda
volta la riconquista dell’abitato. Questa volta tocca a reparti della brigata
Hartung, che però vengono respinti sulle linee di partenza. Kintzl ordina di
nuovo ai veronesi di prepararsi per un ulteriore attacco, che viene preceduto
da un furioso fuoco di artiglieria. L’assalto condotto dal Sigismondo caccia da Ponte Vecchio per la seconda volta in poche
ore i francesi del 90° reggimento. Poco dopo però questi, grazie al continuo
affluire di rinforzi, passano nuovamente alla controffensiva, e i veronesi sono
costretti a ripiegare, anche perché, col ripiegamento dei soldati della brigata
Hartung sulla sinistra, il 45° rischia l’accerchiamento e viene preso
d’infilata.
Quella terribile giornata non era però
ancora finita per i fanti del Sigismondo.
Si pretese da loro un terzo assalto alla
baionetta nel tentativo di riconquistare Ponte Vecchio. Il paese è rioccupato
ancora una volta, ma i napoleonici vi ammassano truppe fresche in gran
quantità, che scacciano definitivamente gli imperiali. Per un attimo i veronesi
si sbandano, ma, al suono dell’adunata, le fila diradate si ricompattano subito
a poche centinaia di passi dalle case in mano francese. Il nemico impressionato
desistette dall’inseguirli. Terminò una giornata sanguinosa per entrambe le
parti. Il reggimento veronese ebbe 43 morti e 279 feriti.
“É
giusto segnalare che a Ponte Vecchio di Magenta il reggimento rimase a
combattere da solo per molto tempo, resistendo a forze preponderanti del nemico
(una parte delle brigate francesi Wimpffen, Cler e Picard, approssimativamente
da 6 a 7 battaglioni) facendogli credere, per ammissione stessa delle proprie
fonti, di avere a che fare con forze a lui molto superiori”.[8]
Il 26 giugno 1859 i reparti si trovavano
a San Vito di Legnago (Vr) dove l’Aiutante di campo dell’Imperatore Francesco
Giuseppe decorò alcuni valorosi militi del Reggimento, che si erano distinti
nella drammatica giornata di Magenta:
Medaglia d’argento al valore di 1°
classe:
maresciallo
Pietro Tegolin
maresciallo
Pietro Temporin
sergente
Carlo Colombo
caporalmaggiore
Giovanni Dal Medico
soldato
Giovanni Ferrante
soldato
Francesco Bettoli
soldato
Pietro Faustinelli
soldato
Luigi Dallanogara
soldato Antonio Bonafin
Medaglia
d’argento al valore di 2° classe:
portabandiera
Giovanni Battistoni
sergente
Giovanni Calzavacca
sergente
Vincenzo Zaglio
sergente
Giuseppe Cindric
sergente
Abele Sicchiero
sergente
Giovanni Paroli
caporalmaggiore
Pietro Drera
caporalmaggiore
Cesare Guaida
caporalmaggiore
Antonio Barbieri
caporalmaggiore
Gaetano Donà
caporalmaggiore
Antonio Invirto
tamburino
Orlando Molteni
tamburino
Michele Campagnari
tamburino
Giorgio Ascari
trombettiere
Tommaso Mischiari
caporale
Luigi Ragazzi
caporale
Ludovico Fioresi
granatiere
Michele Marcomini
soldato Giuseppe Ghidoni
soldato Emilio Piccoli
soldato Luigi Ceriani
soldato Giacomo Giardini
soldato Marco Dal Maestro
soldato Pietro Gavioli
soldato Giovanni Siviera[9]
4. 1860-1866: ultime gesta. Sadowa
Tra
il 1860 e il 1863 il reggimento fu principalmente di guarnigione nella Boemia
meridionale.
Nel 1866 l’alleanza italo-prussiana
rischiava di chiudere l’Impero d’Austria in una morsa a tenaglia. Allo scoppio
delle ostilità il Sigismondo si
trovava aggregato all’Armata del Nord, in Boemia, che doveva contrastare
l’esercito prussiano. I battaglioni al completo nell’aprile furono uniti alla
Brigata Piret alle dipendenze del I
Corpo d’Armata, comandato dal Generale Conte Clam-Gallas.
Dopo varie scaramucce, il 27 giugno 1866
il 45° ricevette l’ordine del Principe ereditario di Sassonia di dar man forte
all’armata principale a Jicin. Era in movimento verso quella località, quando sulle
balze del Monte Musky, il III battaglione fu assalito all’improvviso dai
soldati del II battaglione del 27° reggimento brandeburghese. Mentre si
ritirava ordinatamente, continuando a combattere, sopraggiunsero a dargli
manforte anche il I e III battaglione che si gettarono subito nella mischia.
Nello scontro morirono 45 uomini, compreso il tenente Ernesto Riva; i feriti
furono 229, e 123 caddero prigionieri.
Il I e II battaglione furono, quindi,
inviati sul Monte Testin, mentre il III rimase di riserva. I prussiani del IV
corpo d’armata passarono all’attacco dopo un lungo bombardamento. Alcune
compagnie del I, allora, conversero verso Zames per scacciarne il nemico.
Entrate nella profonda valle del torrente Cidlina, le 6 compagnie veronesi procedevano,
al canto della marcia La canna, verso il nemico arroccato nel
villaggio. A 60 passi dai prussiani sferrarono l’assalto alla baionetta, ma le
14 compagnie del 48° fanteria e dell’8° della Guardia prussiana, sostenuti da 3
batterie, ebbero fatalmente la meglio. A quel punto arrivò l’ordine di
ripiegare verso Mitelin.
In quello scontro persero la vita 6
ufficiali, tra cui i tenenti Ascanio Colloredo e Antonio Muraro, il sottotenente
Carlo Maffei, 47 soldati e 9 sottufficiali. I feriti furono 159. Nessuno cadde
prigioniero. Gli ufficiali furono disarcionati, essendo abbattuti dal nemico
tutti i cavalli[10].
Ripiegato su Königgrätz, il Sigismondo fu schierato nei pressi della
piazzaforte, sulla riva destra dell’Elba. I prussiani concentravano le truppe e
la mattina del 3 luglio iniziò un forte cannoneggiamento che preludeva ad un
imminente assalto. Fino al primo pomeriggio la linea austriaca resistette, ma,
ben presto, il centro, formato dal III e IV corpo, cominciò a cedere e
ritirarsi. Anche i Sassoni e l’VIII corpo cominciarono a vacillare, e alle due
pomeridiane fu dato l’ordine di retrocedere.
Alla Brigata Piret, tuttavia, fu dato l’ordine di fermarsi e coprire la
ritirata. Il I e II battaglione, che ne facevano parte, si diressero
combattendo verso Problus. Il III, invece, era impegnato a difendere una
brigata di artiglieria nel bosco di Bor.
A Problus, però, il nemico era già giunto
e si era ben attestato. I fanti del 45° salirono le alture per scacciarlo. Si
scatenò tra le parti un intenso fuoco di fucileria. I prussiani furono
costretti a rallentare il passo, il che permise al resto dell’armata imperiale
di ritirarsi in buon ordine. Alla fine, nonostante le perdite subite, anche i
veronesi riuscirono a ripiegare. In quel fatto d’armi persero la vita 8
ufficiali e 57 soldati. I feriti furono 161 di cui 8 ufficiali, tra cui il
capitano Comingo Putti, e i sottotenenti
Francesco Cabrini e Michele Berti. 158 caddero prigionieri, tra cui il tenente
Antonio Filippi, svenuto per una rovinosa caduta dal cavallo ucciso[11].
Il 4 luglio si raccolse quel che rimaneva
del reggimento nei pressi di Hohenmauth. Era ridotto a soli 1.600 uomini.
Il 6 settembre a St. Pölten, in Carinzia, i fanti ricevettero l’ultimo saluto del
loro comandante e le ultime decorazioni. In base alla pace di Praga, infatti,
le truppe italiane dell’armata imperiale sarebbero state rimpatriate dopo
l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.
Medaglia d’argento di 1° classe:
sergente
Vincenzo Ziglio
sergente
Francesco Morbioli
sergente
Carlo Simonati
sergente
Giovanni Gittini
attendente
Francesco Albertini
soldato
Pietro Dalbor
soldato
Fabiano Zanella
soldato
Vincenzo La Corte
soldato
Giovanni Zambon
Medaglia d’argento di 2° classe:
tenente
Cesare Milani
sergente
Angelo Berazutti
sergente
Giovanni Vignola
sergente
Santo Novario
sergente
Angelo Zannini
sergente
Giovanni Comparotto
sergente
Cirilo Germani
sergente
Vincenzo Santoni
caporalmaggiore
Francesco Tassi
caporalmaggiore
Paolo Nardi
soldato
Luigi Botesel
soldato
Giovanni Sartori[12]
5. Conclusione
Le medesime vicende si potrebbero narrare
anche degli altri reggimenti imperiali reclutati nelle terre lombardo-venete,
come il 13° Reggimento di fanteria (province di Padova e Rovigo); il n° 16
(Treviso e Belluno); il 23° (Lodi e Cremona); 26° (Udine, Belluno), 38°
(Mantova e Brescia), 43° (Como, Bergamo e Sondrio) e il 44° (Milano).
Per la maggior parte si dimostrarono
coraggiosi e ottimi soldati, ma le loro vicende e il loro sacrificio appaiono
forse inutili. Se furono sconfitti e militarono dalla parte che alla fine
soccombette, tuttavia, tanto sangue versato ha certamente lasciato un segno
profondo, quasi ancestrale, nello spirito delle popolazioni italiane, che tutte
hanno percepito e continuano a percepire il cosiddetto movimento risorgimentale
come un sopruso e una mistificazione. Questa è la loro vera vittoria.
È il Risorgimento, infatti, ad uscire
sconfitto dai caduti italiani in divisa imperiale.
A distanza di 150 anni, la mala Unità e
lo stato nato dal Risorgimento non sono affatto amati, ma, al contrario,
vengono percepiti istintivamente dai discendenti ed eredi di quegli umili fanti
come un’insopportabile sovrastruttura politica, che incute – al massimo –
timore, col peso asfissiante del suo apparato burocratico e delle sue cento
polizie.
In fondo al cuore, infatti, veronesi,
milanesi e friulani sentono ancora che il loro vero sovrano, come i loro
antenati, era e rimane il vecchio Imperatore e Re Apostolico Cecco Beppe.
[1] Se Dio è con noi, chi è contro di
noi?
[2] Con fedeltà e costanza. Verona ai
soldati suoi cittadini nell’anno 1841.
[3] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 131.
[4] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 167, n. 7.
[5] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 138.
[6] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 140.
[7] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 10.
[8] A. VON RABENHORST, Storia dell’ Imperiale Regio Reggimento di
fanteria n. 45, Brün, 1897, p. 330.
[9] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, nn. 12
e 15.
[10] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 17.
[11] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 18.
[12] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 20.