Il 45° Imperial Regio Reggimento di Fanteria

Arciduca Sigismondo (1814-1866):

I soldati veronesi nella bufera risorgimentale

 

    

 

 

La propaganda risorgimentale ha semplicisticamente dipinto le varie Guerre per l’Indipendenza come una lotta contro lo straniero: ma fu veramente così?

1 – 500mila italiani combatterono nell’esercito imperiale austriaco DAL 1814 AL 1866 - Nella Prima Guerra d’Indipendenza combatterono italiani piemontesi sabaudi contro italiani del Lombardo-Veneto, arruolati nell’Imperial-Regio esercito (25.000 su 70.000, un soldato su tre di Radetzsky era italiano!). Interi Reggimenti erano interamente costituiti di soli veronesi e rodigini, come ad esempio il 45° Imperial-Regio Reggimento Arciduca Sigismondo d’Este (giacca bianca, pantaloni azzurri con banda bianca, mostrine, colletto, spalline e paramani rossi, in testa il caratteristico tschako,). Ma non solo: il 13° Reggimento Wimpfen era reclutato a Padova e Venezia; il 16° Reggimento Conte Zannini a Vicenza e Treviso; il 26° Reggimento Ferdinando d’Este a Udine; il 38° Reggimento Haugwitz  a Brescia, Mantova e Verona; il 23° Reggimento Ceccopieri (Cremona e altre città della Lombardia); il 43° Reggimento Geppert a Como; il 44° Reggimento Arciduca Alberto a Milano.

 

2 – Dopo essere stato all’estero per molti anni, il 45° Imperial-Regio Reggimento Arciduca Sigismondo d’Este fece ritorno nel 1842 in Veneto. Il reparto si distinse combattendo contro i nazionalisti e i liberal-massoni lombardi durante le cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) cu strappò Porta Ludovica e Porta Tosa; contro i piemontesi di Carlo Alberto, nella battaglia di Santa Lucia del 6 maggio 1848 arrestando l’offensiva sabauda contro il Quadrilatero benché di gran lunghi inferiori di numero rispetto al nemico (due soli battaglioni contro cionque brigate nemiche) e nonostante le cariche della cavalleria sabauda e un ininterrotto cannoneggiamento; alla battaglia era presente l’Imperatore Francesco Giuseppe che decorò con medaglie d’oro, d’argento ed encomi, conferiti sul campo, quanti si erano battuti con maggior valore. ch’ebbe il suo battesimo del fuco insieme proprio ai reparti veronsesi del 45° conquistò cinque cannoni, e sopraffece una batteria da 16 libbre, giungendo fin sotto le mura di Novara.  e ancora a Magenta (4 giugno 1859) contro i franco-piemontesi; e,infine, contro i Prussiani a Sadowa (3 luglio 1866) quando il Reggimento, per coprire la ritirata austriaca, si coprì di gloria, perdendo quasi i due terzi dei suoi effettivi.

 

2 -  ma allora cosa fu il cosiddetto Risorgimento? Una guerra civile fra italiani

 

 

 

 

           

veneti e lombardi che tra il 1814 e il 1866 furono arruolati nei reparti dell’Imperial- Regio esercito austriaco e parteciparono – ma dalla parte opposta – a tutti o quasi gli episodi salienti del Risorgimento: le Cinque giornate di Milano, le Dieci di Brescia, le battaglie di Santa Lucia, Goito, Curtatone, Montanara, Novara, l’assedio di Vicenza, quello di Venezia ecc. ecc.

 

Caratteristico copricapo della Fanteria austriaca: lo Tschako. Sopra: Una ricostruzione del 45° Imperial-Regio Reggimento Arciduca Sigismondo.

 

 

Nel 1841 la storia reggimentale segnala una cerimonia particolarmente commovente. Vennero  infatti consegnate solennemente ai tre battaglioni in Campofiore a Verona, dopo la Santa Messa, le nuove bandiere. Dopo la consegna, il Comandante del Reggimento, Conte Gyulai, elevò in lingua italiana l’invocazione di rito: Iddio conservi il nostro clementissimo Sovrano, l’Imperatore Ferdinando! A cui fecero eco tre forti Evviva! Le tre bandiere furono decorate con altrettanti nastri. Il primo con preziosi ricami d’oro, opera della Arciduchessa Maria Luisa, Duchessa di Parma, portava il motto latino: Si Deus pro nobis, quis contra nos?[1] Il secondo di colore azzurro, donato dalla Città di Verona, aveva la scritta: Fideliter e Constanter. Verona Militibus civibus suis anno MDCCCXLI[2]. Il terzo fregio fu omaggio della città di Rovigo: La Regia città di Rovigo l’anno 1841 D.D., con l’aggiunta: L’ultimo dei nostri ti perderà[3].

 

 

 

 

1.       La battaglia di Novara e la caduta di Venezia (1849)

 

            Dopo la battaglia di Custoza del giugno 1848, le truppe piemontesi iniziarono il ripiegamento verso la Lombardia, da dove rientrarono nei territori sabaudi. L’armistizio che ne seguì, non spense le velleità di conquista del Re Tentenna, com’era soprannominato Carlo Alberto, che già durante i primi mesi del 1849 diede chiari segni di voler riprendere quanto prima le ostilità, mentre Venezia manteneva ancora un’effimera indipendenza.

            Tra Novara, Vercelli e Vigevano si andava così concentrando il grosso dell’armata sarda forte di circa 100.000 uomini. I due battaglioni del 45° (ricordiamo che il II rimase ininterrottamente per tutto il corso della guerra in Dalmazia a difesa dei confini meridionali) furono uniti alla brigata Maurer del III corpo d’armata e, raggiunta Pavia, si attestarono sul Ticino.

            La breve campagna militare, dopo i fatti d’arme di Mortara, Gambolo e Borgo San Siro, si concluse nella grande battaglia di Novara, dove si distinse in particolare il I battaglione al comando del Capitano Federico Ferrari, che sul fianco destro continuò combattendo la marcia verso la città, conquistò cinque cannoni, e sopraffece una batteria da 16 libbre, giungendo fin sotto le mura di Novara.

            Terminate le ostilità con l’esilio inflitto al sovrano subalpino, il 28 marzo 1849 il 45° marciò su Milano e, di lì, a Brescia dove furono decorati i soldati più valorosi della breve campagna. Tra gli altri furono anche ricordati i 35 soldati che perirono a Brescia, durante le famigerate Dieci Giornate[4].

            Rimaneva ancora Venezia.

Dopo un breve riposo a Verona i due battaglioni presero la strada verso est e attraverso Vicenza e Padova, giunsero a Mestre, dove si unirono alla brigata Macchio, che assediava la città adriatica. I fanti del Sigismondo parteciparono così all’attacco del Forte Marghera, lasciando sul terreno un caduto e tre feriti. Dopo la capitolazione dei rivoluzionari di Venezia ad agosto, il 45° fu trasferito a Brescia.

 

Medaglia d’oro al valore:

            caporalmaggiore Giuseppe Cameran

Medaglia d’argento di 1° classe:

            caporalmaggiore Zaparoli

                        caporalmaggiore Bianchi

                        tamburino Visentini

                        soldato Saccon

                        soldato Rossi

                        soldato Nibale

                        soldato Veronesi

                        soldato Rossetto

            Medaglia d’argento di 2° classe:

                        sottotenente Camillo Soranzo

                        sottotenente Carlo Formenti

maresciallo Zini

caporalmaggiore Pimazzoni

caporalmaggiore De Battisti

caporalmaggiore Belucco

caporalmaggiore Guarnieri

                        caporale Galghero

caporale Boldrini

                        caporale Toso

                        caporale Cacianiga

                        caporale Mantovani

                        caporale Massagrande

                        soldato scelto Sgarbi

                        soldato scelto Manfrimati

                        soldato Giacomuzzi

                        soldato Sacheto

                        soldato Grottolo

                        soldato Pasetto

                        soldato Zangrande

                        soldato Gasperini

                        soldato Panigalli

                        soldato Marchiori

                        soldato Piccoli

                        soldato Steffanini

                        soldato Dallocco

                        soldato Favalli

                        soldato Castellini

                        soldato Carminati

                        soldato Ferrari

                        soldato Attrappelli

                        soldato Vincenzi

                        soldato Argenti

                        soldato Bianchi

                        soldato Pasqualin

                        soldato Zanca

                        soldato Riziolli

                        soldato Dainese.

                       

 

2.       Tregua armata dal 1850 al 1858

 

Negli anni 1850 e 1851 troviamo i soldati veronesi in varie guarnigioni dell’Impero tra Dalmazia e Ungheria. Nel 1853 il neo costituito IV battaglione ricevette in dono dall’Imperatrice Elisabetta la bandiera col nastro rosso, che recava la scritta in italiano: Fedeltà e valore vi unisca al sacro pegno. La consegna avvenne a Verona e la Congregazione Municipale offrì ai soldati 500 lire austriache[5].

Nel 1857 fu stabilito che, in caso di ostilità, il 45° reggimento doveva consistere di una forza complessiva di 4 battaglioni, formati da 32 compagnie, per un totale di 6.886 uomini[6].

Nel 1858 morì a Milano l’anziano Feldmaresciallo Radetsky.

Quell’anno, in cui cadeva il 10° anniversario della battaglia di Santa Lucia, fu anche l’occasione per commemorare con la dedica di un monumento i caduti del reggimento nella battaglia del 1848. Il 6 maggio, anniversario dello scontro, venne ufficialmente inaugurato un cippo marmoreo costruito a spese del Reggimento e con la manodopera dei soldati. Alla presenza del Feldmaresciallo Gyulai, del Vescovo e delle autorità cittadine, venne celebrata la Santa Messa dal cappellano del reparto, Don Antonio Mazzani. Tutta la cerimonia si svolse in lingua italiana.

Il cippo (tuttora visibile nel Cimitero di Santa Lucia) porta la seguente scritta:

 

L’Imperial Regio Reggimento fanti Arciduca Sigismondo

Ai suoi commilitoni

Qui caduti

Nel combattimento di Santa Lucia

Il 6 maggio 1848

Erigeva.

 

Pace alle loro ceneri

Onore alla loro gloriosa memoria

Colla morte dei valorosi

Suggellarono la loro fedeltà

Al Sovrano e alla patria.

Inaugurato con solennità il giorno 6 maggio 1858.[7]

 

In settembre il reggimento era a Vienna ed ebbe l’onore di esser di guardia ai palazzi imperiali.

 

 

3.       Magenta (1859)

 

Il 28 febbraio 1859 il 45° ebbe l’ordine di mettersi sul piede di guerra. Le continue provocazioni del Regno di Sardegna sui confini occidentali del Lombardo-Veneto, spingevano fatalmente l’Austria verso la mobilitazione generale e la guerra. L’intesa tra Piemonte e Francia, infatti, prevedeva che quest’ultima sarebbe intervenuta a fianco dei subalpini solo nel caso in cui fosse stata l’Austria ad aprire per prima le ostilità.

L’alto comando decise di inviare in Italia i battaglioni del Sigismondo, tanto grande era la fiducia e la considerazione che a Vienna si aveva dei soldati veneti. Il 31 aprile il 45° era acquartierato a Milano presso la caserma San Francesco. Il Reggimento fu aggregato al II corpo d’armata comandato dal Feldmaresciallo Jelacic e dispiegato tra Milano e Pavia. Il 2 maggio i reparti (raggiunti nel frattempo anche dal battaglione Granatieri) attraversarono il Ticino in direzione Guarlasco, Mede, Ottobiano, Nicovo, Sesia, giungendo nelle vicinanze di Vercelli. Il 9 maggio ripiegò su Cilavegna. Il 18 era a San Giorgio, mentre il 30 sostava nei pressi di Palestro, pronto ad entrare nella mischia.

Dopo le battaglie di Palestro e Montebello, l’armata si schierò sulla difensiva lungo la linea Vercelli-Pavia-Piacenza. Il nemico occupò le due rive del Tanaro. Il 3 giugno l’esercito imperiale si ritirò su Magenta, e il II battaglione ebbe l’ordine di tenere Robecco sul Naviglio e Ponte Vecchio di Magenta. Il I battaglione invece era schierato a difesa di due postazioni sul Naviglio Grande.

I francesi presero a metà mattina del 4 giugno il ponte in pietra sul Ticino, sloggiandone gli imperiali. Il II battaglione, appostato dietro una massicciata della linea ferroviaria, fu investito da due battaglioni di granatieri, resistendo a lungo, ma per impedire che venisse isolato, fu poi fatto ripiegare su Carpenzago. Per proteggere la ritirata, il Comando austriaco inviò allora il I battaglione a difenderne la strada, permettendo così al II e al resto della brigata di ritirarsi agevolmente sul paese, dove si appostò.

I francesi intanto si erano attestati in alcuni punti al di là del corso d’acqua. Per questo il Maggiore Generale Kintzl ordinò al I e II battaglione del 45° (ancora relativamente freschi) di avanzare verso il nemico, coperti dal fuoco di batteria di due cannoni. L’assalto al Ponte Vecchio fu eseguito dai veronesi con rapidità e le compagnie francesi vennero ributtate indietro dagli italiani fin oltre il gruppo di case, dove affluirono le riserve austriache. Nonostante i furiosi contrattacchi francesi e il continuo fuoco di controbatteria la posizione rimaneva ancora nelle mani dei soldati imperiali, sicché i francesi, comandati dal generale Picard, si videro costretti a sloggiare completamente dal paese. Fatti affluire cospicui rinforzi, con un successivo attacco, le truppe di Napoleone III riuscirono alla fine a sloggiare da Ponte Vecchio gli imperiali, i quali però non furono inseguiti ed ebbero modo di raggrupparsi con ordine in alcune case, sempre bersagliati dai colpi nemici.

Gli austriaci allora tentano una seconda volta la riconquista dell’abitato. Questa volta tocca a reparti della brigata Hartung, che però vengono respinti sulle linee di partenza. Kintzl ordina di nuovo ai veronesi di prepararsi per un ulteriore attacco, che viene preceduto da un furioso fuoco di artiglieria. L’assalto condotto dal Sigismondo caccia da Ponte Vecchio per la seconda volta in poche ore i francesi del 90° reggimento. Poco dopo però questi, grazie al continuo affluire di rinforzi, passano nuovamente alla controffensiva, e i veronesi sono costretti a ripiegare, anche perché, col ripiegamento dei soldati della brigata Hartung sulla sinistra, il 45° rischia l’accerchiamento e viene preso d’infilata.

Quella terribile giornata non era però ancora finita per i fanti del Sigismondo.

Si pretese da loro un terzo assalto alla baionetta nel tentativo di riconquistare Ponte Vecchio. Il paese è rioccupato ancora una volta, ma i napoleonici vi ammassano truppe fresche in gran quantità, che scacciano definitivamente gli imperiali. Per un attimo i veronesi si sbandano, ma, al suono dell’adunata, le fila diradate si ricompattano subito a poche centinaia di passi dalle case in mano francese. Il nemico impressionato desistette dall’inseguirli. Terminò una giornata sanguinosa per entrambe le parti. Il reggimento veronese ebbe 43 morti e 279 feriti.

É giusto segnalare che a Ponte Vecchio di Magenta il reggimento rimase a combattere da solo per molto tempo, resistendo a forze preponderanti del nemico (una parte delle brigate francesi Wimpffen, Cler e Picard, approssimativamente da 6 a 7 battaglioni) facendogli credere, per ammissione stessa delle proprie fonti, di avere a che fare con forze a lui molto superiori”.[8]

Il 26 giugno 1859 i reparti si trovavano a San Vito di Legnago (Vr) dove l’Aiutante di campo dell’Imperatore Francesco Giuseppe decorò alcuni valorosi militi del Reggimento, che si erano distinti nella drammatica giornata di Magenta:

 

Medaglia d’argento al valore di 1° classe:

            maresciallo Pietro Tegolin

            maresciallo Pietro Temporin

            sergente Carlo Colombo

            caporalmaggiore Giovanni Dal Medico

            soldato Giovanni Ferrante

            soldato Francesco Bettoli

            soldato Pietro Faustinelli

            soldato Luigi Dallanogara

soldato Antonio Bonafin

Medaglia d’argento al valore di 2° classe:

            portabandiera Giovanni Battistoni

            sergente Giovanni Calzavacca

            sergente Vincenzo Zaglio

            sergente Giuseppe Cindric

            sergente Abele Sicchiero

            sergente Giovanni Paroli

            caporalmaggiore Pietro Drera

            caporalmaggiore Cesare Guaida

            caporalmaggiore Antonio Barbieri

            caporalmaggiore Gaetano Donà

            caporalmaggiore Antonio Invirto

            tamburino Orlando Molteni

            tamburino Michele Campagnari

            tamburino Giorgio Ascari

            trombettiere Tommaso Mischiari

            caporale Luigi Ragazzi

            caporale Ludovico Fioresi

            granatiere Michele Marcomini

soldato Giuseppe Ghidoni

soldato Emilio Piccoli

soldato Luigi Ceriani

soldato Giacomo Giardini

soldato Marco Dal Maestro

soldato Pietro Gavioli

soldato Giovanni Siviera[9]

 

 

4.       1860-1866: ultime gesta. Sadowa

 

Tra il 1860 e il 1863 il reggimento fu principalmente di guarnigione nella Boemia meridionale.

Nel 1866 l’alleanza italo-prussiana rischiava di chiudere l’Impero d’Austria in una morsa a tenaglia. Allo scoppio delle ostilità il Sigismondo si trovava aggregato all’Armata del Nord, in Boemia, che doveva contrastare l’esercito prussiano. I battaglioni al completo nell’aprile furono uniti alla Brigata Piret alle dipendenze del I Corpo d’Armata, comandato dal Generale Conte Clam-Gallas.

Dopo varie scaramucce, il 27 giugno 1866 il 45° ricevette l’ordine del Principe ereditario di Sassonia di dar man forte all’armata principale a Jicin. Era in movimento verso quella località, quando sulle balze del Monte Musky, il III battaglione fu assalito all’improvviso dai soldati del II battaglione del 27° reggimento brandeburghese. Mentre si ritirava ordinatamente, continuando a combattere, sopraggiunsero a dargli manforte anche il I e III battaglione che si gettarono subito nella mischia. Nello scontro morirono 45 uomini, compreso il tenente Ernesto Riva; i feriti furono 229, e 123 caddero prigionieri.

Il I e II battaglione furono, quindi, inviati sul Monte Testin, mentre il III rimase di riserva. I prussiani del IV corpo d’armata passarono all’attacco dopo un lungo bombardamento. Alcune compagnie del I, allora, conversero verso Zames per scacciarne il nemico. Entrate nella profonda valle del torrente Cidlina, le 6 compagnie veronesi procedevano, al canto della marcia La canna, verso il nemico arroccato nel villaggio. A 60 passi dai prussiani sferrarono l’assalto alla baionetta, ma le 14 compagnie del 48° fanteria e dell’8° della Guardia prussiana, sostenuti da 3 batterie, ebbero fatalmente la meglio. A quel punto arrivò l’ordine di ripiegare verso Mitelin.

In quello scontro persero la vita 6 ufficiali, tra cui i tenenti Ascanio Colloredo e Antonio Muraro, il sottotenente Carlo Maffei, 47 soldati e 9 sottufficiali. I feriti furono 159. Nessuno cadde prigioniero. Gli ufficiali furono disarcionati, essendo abbattuti dal nemico tutti i cavalli[10].

Ripiegato su Königgrätz, il Sigismondo fu schierato nei pressi della piazzaforte, sulla riva destra dell’Elba. I prussiani concentravano le truppe e la mattina del 3 luglio iniziò un forte cannoneggiamento che preludeva ad un imminente assalto. Fino al primo pomeriggio la linea austriaca resistette, ma, ben presto, il centro, formato dal III e IV corpo, cominciò a cedere e ritirarsi. Anche i Sassoni e l’VIII corpo cominciarono a vacillare, e alle due pomeridiane fu dato l’ordine di retrocedere.

Alla Brigata Piret, tuttavia, fu dato l’ordine di fermarsi e coprire la ritirata. Il I e II battaglione, che ne facevano parte, si diressero combattendo verso Problus. Il III, invece, era impegnato a difendere una brigata di artiglieria nel bosco di Bor.

A Problus, però, il nemico era già giunto e si era ben attestato. I fanti del 45° salirono le alture per scacciarlo. Si scatenò tra le parti un intenso fuoco di fucileria. I prussiani furono costretti a rallentare il passo, il che permise al resto dell’armata imperiale di ritirarsi in buon ordine. Alla fine, nonostante le perdite subite, anche i veronesi riuscirono a ripiegare. In quel fatto d’armi persero la vita 8 ufficiali e 57 soldati. I feriti furono 161 di cui 8 ufficiali, tra cui il capitano Comingo Putti,  e i sottotenenti Francesco Cabrini e Michele Berti. 158 caddero prigionieri, tra cui il tenente Antonio Filippi, svenuto per una rovinosa caduta dal cavallo ucciso[11].

Il 4 luglio si raccolse quel che rimaneva del reggimento nei pressi di Hohenmauth. Era ridotto a soli 1.600 uomini.

Il 6 settembre a St. Pölten, in Carinzia, i fanti ricevettero l’ultimo saluto del loro comandante e le ultime decorazioni. In base alla pace di Praga, infatti, le truppe italiane dell’armata imperiale sarebbero state rimpatriate dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.

 

Medaglia d’argento di 1° classe:

            sergente Vincenzo Ziglio

            sergente Francesco Morbioli

            sergente Carlo Simonati

            sergente Giovanni Gittini

            attendente Francesco Albertini

            soldato Pietro Dalbor

            soldato Fabiano Zanella

            soldato Vincenzo La Corte

            soldato Giovanni Zambon

Medaglia d’argento di 2° classe:

            tenente Cesare Milani

            sergente Angelo Berazutti

            sergente Giovanni Vignola

            sergente Santo Novario

            sergente Angelo Zannini

            sergente Giovanni Comparotto

            sergente Cirilo Germani

            sergente Vincenzo Santoni

            caporalmaggiore Francesco Tassi

            caporalmaggiore Paolo Nardi

            soldato Luigi Botesel

            soldato Giovanni Sartori[12]

 

 

5.       Conclusione

 

Le medesime vicende si potrebbero narrare anche degli altri reggimenti imperiali reclutati nelle terre lombardo-venete, come il 13° Reggimento di fanteria (province di Padova e Rovigo); il n° 16 (Treviso e Belluno); il 23° (Lodi e Cremona); 26° (Udine, Belluno), 38° (Mantova e Brescia), 43° (Como, Bergamo e Sondrio) e il 44° (Milano).

Per la maggior parte si dimostrarono coraggiosi e ottimi soldati, ma le loro vicende e il loro sacrificio appaiono forse inutili. Se furono sconfitti e militarono dalla parte che alla fine soccombette, tuttavia, tanto sangue versato ha certamente lasciato un segno profondo, quasi ancestrale, nello spirito delle popolazioni italiane, che tutte hanno percepito e continuano a percepire il cosiddetto movimento risorgimentale come un sopruso e una mistificazione. Questa è la loro vera vittoria.

È il Risorgimento, infatti, ad uscire sconfitto dai caduti italiani in divisa imperiale.

A distanza di 150 anni, la mala Unità e lo stato nato dal Risorgimento non sono affatto amati, ma, al contrario, vengono percepiti istintivamente dai discendenti ed eredi di quegli umili fanti come un’insopportabile sovrastruttura politica, che incute – al massimo – timore, col peso asfissiante del suo apparato burocratico e delle sue cento polizie.

In fondo al cuore, infatti, veronesi, milanesi e friulani sentono ancora che il loro vero sovrano, come i loro antenati, era e rimane il vecchio Imperatore e Re Apostolico Cecco Beppe.



[1] Se Dio è con noi, chi è contro di noi?

[2] Con fedeltà e costanza. Verona ai soldati suoi cittadini nell’anno 1841.

[3] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 131.

[4] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 167, n. 7.

[5] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 138.

[6] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 140.

[7] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 10.

[8] A. VON RABENHORST, Storia dell’ Imperiale Regio Reggimento di fanteria n. 45, Brün, 1897, p. 330.

[9] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, nn. 12 e 15.      

[10] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 17.

[11] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 18.

[12] I. DAL FABBRO, Il Contro Risorgimento …, p. 168, n. 20.